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A braccia aperte con papa Francesco

5 ore 57 min fa

A braccia aperte è l’invito che l’Azione cattolica rivolge a soci e amici in occasione dell’Incontro nazionale con papa Francesco che si terrà il 25 aprile 2024 in Piazza San Pietro. Oltre 50.000 persone, provenienti da tutte le diocesi d’Italia si riuniranno per ascoltare la parola del Santo Padre, pregare e fare festa. Persone di ogni fascia di età dagli studenti, agli adulti, ai bambini, con storie e percorsi diversi, uniti nella partecipazione alla costruzione del futuro del Paese. Una giornata di dialogo in seno alla Chiesa ma aperta alla partecipazione di tutti coloro che vorranno esserci per fare un’esperienza viva di Chiesa sinodale, in un giorno caro all’Ac e a tutti gli italiani. È, soprattutto, il modo dell’Azione cattolica italiana di vivere il suo impegno per l’oggi e per costruire il mondo di domani, avendo a cuore la pace e la cura della casa comune.

Le parole di Notarstefano e mons. Giuliodori

Alla Conferenza stampa di presentazione hanno partecipato il presidente nazionale  dell’Azione cattolica italiana Giuseppe Notarstefano e l’Assistente ecclesiastico generale dell’associazione mons. Claudio Giuliodori.

” Abbiamo voluto vivere questo incontro nella dimensione ordinaria, in un tempo in cui la questione della democrazia e delle sue sfide è sotto gli occhi di tutti – ha ricordato il presidente Notarstefano – Lo viviamo come un’espressione di vita democratica che coinvolge soprattutto i ragazzi. Ricordo che i nostri responsabili sono frutto di un percorso di elezione democratica che vedrà il suo culmine nell’elezione dei nuovi organi durante l’Assemblea generale che seguirà l’incontro con il Papa. In questo tempo complicato e difficile per l’intera vita della Chiesa, noi guadiamo con grande fiducia all’impegno che tutti noi di Ac possiamo porre verso la comunità. Siamo molto preoccupati per la guerra, alla quale ci stiamo forse rassegnando. Noi di Ac vogliamo ribadire che la pace deve essere il nostro obiettivo e che occorre tessere quell’artigianato di pace di cui parla papa Francesco” .

“Questo evento è frutto di una consuetudine che lega l’Ac ai pontefici. – sono state le parole di Mons. Giuliodori – Con papa Francesco la tradizione di legame con la Santa Sede si è consolidato attraverso tanti incontri; l’incontro per i 150 anni dell’Azione Cattolica. Siamo in attesa delle parole del Papa perché sono sempre parole che stimolano e provocano. Vogliamo esprimere la vicinanza al Pontefice sui temi a cui lui tiene molto. Vogliamo affiancarlo nel cammino sinodale della Chiesa in Italia e lo slogan, A braccia aperte, vuole essere traduzione plastica di questo camminare insieme come comunità consapevole di dover procedere in maniera sinergica valorizzando le diversità e andando incontro a uomini e donne di questo tempo. L’enciclica Fratelli Tutti è la piattaforma di questo evento di Piazza con il Papa.”

L’Incontro con papa Francesco è il prologo ai lavori della XVIII Assemblea nazionale elettiva dell’Ac, Testimoni di tutte le cose da lui compiute, che si svolgerà a Sacrofano (RM), presso la Fraterna Domus, dal pomeriggio di giovedì 25 aprile alla mattina del 28 aprile 2024. 1000 i delegati provenienti da tutte le diocesi d’Italia riuniti per eleggere il Consiglio nazionale dell’Azione cattolica italiana per il triennio 2024-2027.

All’assemblea saranno presenti il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato della Santa Sede, il card. Kevin Joseph Farrell, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, il card. Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, il card. Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna e Presidente della Conferenza episcopale italiana e il card. Mario Grech, Segretario Generale della Segreteria Generale del Sinodo.

Il Bilancio di sostenibilità 2024

Durante la conferenza stampa, inoltre, sono stati presentati i dati del Bilancio di sostenibilità 2024. Con un dato di rilievo su tutti. L’associazione è in crescita. Dopo il calo di soci/e dovuto alla pandemia di Covid 19, per il secondo anno consecutivo  si è registrato un + 3,7% di iscritti sull’anno precedente, superando di slancio quota 200mila (221.598). I responsabili associativi sono in tutto il Paese 38.111 per un totale stimato di 5 milioni di ore donate per l’associazione ogni anno.

Gli educatori e gli animatori dei ragazzi e giovani di Ac sono circa 42.000, per un totale di 7,5 milioni di ore donate.

Significativa poi la cifra dei soci impegnati nel volontariato (circa 20.000), nel sindacato e nelle associazioni (circa 1.500), in politica (circa 2.500) e il numero degli assistenti ecclesiastici sparsi nelle diocesi e nei territori (6.900, segno di vicinanza ai preti e al loro ministero).

Una realtà ecclesiale e civile con oltre un secolo e mezzo di storia che conta più di 221.000 tesserati di ogni età, presenti in più di 5000 parrocchie italiane.

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Un impegno per la pace

Mer, 17/04/2024 - 12:00

La Presidenza nazionale di Azione cattolica ha deciso, in occasione dell’incontro del 25 aprile A braccia aperte, di sostenere le iniziative di carità dell’Elemosineria apostolica della Santa Sede, quella che viene comunemente chiamata la Carità del papa.

*(qui il link diretto per tutti i soci e simpatizzanti che vogliano partecipare con una donazione ). 

L’incontro del 25 aprile con papa Francesco si colloca nel solco del percorso sinodale intrapreso dalla Chiesa universale e dalle Chiese che sono in Italia. E’ un’occasione per sostenere l’impegno capillare dell’associazione nelle parrocchie e nelle diocesi italiane, a servizio della costruzione di una Chiesa sinodale, popolare e missionaria.

L’Ac, inoltre, non dimentica chi soffre in altre parti del mondo. In questo senso si impegna, con l’aiuto dei suoi soci, per le necessità socio sanitarie delle popolazioni che vivono in Terra Santa.

Un impegno per la pace

In questo momento di sofferenza per tutta la Terra Santa , l’Ac è orientata a collaborare per progetti a favore della pace, a sostegno dei tanti, troppi civili, vittime inermi delle guerre che purtroppo insanguinano ancora il nostro pianeta. 

A braccia aperte per la Carità del Papa

L’Ac si augura, forte del tradizionale impegno dei suoi soci per le fragilità, le disuguaglianze e la pace, che si mantenga vivo questo interesse per la Carità del Papa.

A braccia aperte per la Carità del Papa è l’abbraccio che l’Ac vuole dare a chi, oggi, patisce il dramma della guerra, soprattutto in Terra Santa.

Perché ogni piccolo passo in direzione della pace è anche un grande passo verso un mondo più giusto.

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Un amore per il Paese che ci ha lasciato in eredità 

Mar, 16/04/2024 - 09:14

Si chiamerà Palazzo Bachelet (ex Palazzo dei Marescialli) la sede del Consiglio superiore della magistratura a piazza Indipendenza a Roma. Sarà intitolata oggi, martedì 16 aprile, alla sua memoria nel corso di una cerimonia alla presenza del Capo dello Stato. L’evento vedrà il disvelamento dell’opera d’arte commemorativa, il busto bronzeo del vicepresidente Vittorio Bachelet, ucciso dalle Brigate rosse il 12 febbraio 1980 al termine di una lezione presso la Facoltà di Scienze politiche.

L’opera, dello scultore Giuseppe Ducrot, verrà installata nell’androne del Palazzo e la nuova targa intitolata alla sua memoria posta all’ingresso principale della sede del Csm, a Piazza Indipendenza, n.6.

Il Csm «intende oggi rendere un tributo stabile e duraturo alla Sua figura e alla Sua memoria, per celebrarne l’impegno civile ed istituzionale e rinnovare il tributo ai valori civili, sociali e democratici che la Sua vicenda umana e la sua tragica scomparsa evocano», si legge nella delibera approvata.

Per questo il Csm «intende intitolare a Vittorio Bachelet il palazzo in cui esercita le proprie funzioni, e in cui egli stesso, finché gli è stato consentito, ha svolto il ruolo di vicepresidente».

Un amore per il Paese che ci ha lasciato in eredità

«Una piccola notizia che piccola non è. Che ci fa essere felici e grati all’istituzione che ne è l’artefice». Sono le parole di Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana, commentando la notizia che «Palazzo dei Marescialli, sede dal 1962 del Consiglio superiore della magistratura, cambia nome e sarà intitolato a Vittorio Bachelet, che fu presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana dal 1964 al 1973, artefice del nuovo Statuto associativo post-Concilio, e vicepresidente del Csm dal dicembre 1976 sino al 12 febbraio 1980. Giorno in cui fu assassinato da un commando delle Brigate rosse sulle scale della facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza, a Roma, a conclusione di una sua lezione di Diritto amministrativo».


Per Notarstefano, «Vittorio Bachelet ci ha testimoniato che è irrinunciabile impegnarsi per una società più giusta, più equa, più fraterna, senza mai trascendere nella sterile contrapposizione fine a sé stessa. Egli amava la sua famiglia, la sua comunità, la sua associazione, il suo Paese. Amava i valori della nostra Costituzione. Ed è questo amore che ci ha lasciato in eredità».

La cerimonia, prevista per le ore 11.00, sarà trasmessa in diretta dal canale YouTube del Csm https://www.youtube.com/@ConsiglioSuperioreMagistratura.

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In politica come “effetto” della fede

Lun, 15/04/2024 - 09:39

Un sacerdote che si dimostrò educatore e formatore anche in politica, pur non essendo un politico. Questo il tratto di don Primo Mazzolari descritto e approfondito nel corso del convegno “Don Primo Mazzolari, la politica, la Democrazia cristiana” che si è svolto sabato 13 aprile a Brescia, presso il Campus dell’Università Cattolica, per iniziativa della Fondazione Don Primo Mazzolari e dell’Archivio per la storia dell’educazione in Italia.

Le relazioni – proposte in mattinata da Daniela Saresella (Università di Milano), Paolo Trionfini (Università di Parma e direttore dell’Isacem-Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia “Paolo VI”), Guido Formigoni (Università Iulm di Milano) e Anselmo Palini (storico e saggista), e nel pomeriggio da Daria Gabusi (Università degli Studi di Verona) e Matteo Truffelli (Università di Parma e presidente della Fondazione Don Primo Mazzolari) – hanno messo in luce come il parroco di Bozzolo non si stancò mai nel richiamare, soprattutto la Democrazia cristiana e i suoi esponenti, ad una visione radicale della politica mossa da un’evangelica attenzione ai poveri e rivolta al perseguimento della giustizia sociale.

Mazzolari: un cristiano inquieto, attento e coinvolto

Anima democratica, Mazzolari è fin dalla gioventù un cristiano inquieto, attento e coinvolto nel dibattito politico. Interprete di una decisa opposizione all’ideologia fascista e ad ogni forma di ingiustizia e di violenza, partecipò attivamente alla lotta di liberazione. Fu un convinto repubblicano in un’epoca nella quale questa posizione generalmente non apparteneva al bagaglio cattolico.

Ancora una volta è emerso come i temi sui quali don Mazzolari non ha mai mancato di offrire la sua riflessione – la pace e il no alla guerra, l’obiezione di coscienza, i poveri, i diseredati, i carcerati… – siano di stringente attualità anche per l’Italia e il mondo di oggi. L’impegno in politica, per il “parroco d’Italia”, era effetto della fede; anche per questa ragione don Mazzolari non nascose le critiche – che non divennero mai antagonismo – alla lentezza dell’azione di governo, alla tendenza al rinvio, alla mancata realizzazione; elementi questi che lo portarono ad una crescente disillusione.

Un’eredità che parla ai cristiani impegnati

Nel corso dei lavori si sono esplorati anche i legami del sacerdote con la realtà bresciana, i suoi rapporti con esponenti del clero e del laicato, le sue frequentazioni, gli scambi epistolari, le amicizie, le collaborazioni editoriali.

La giornata si è conclusa con la tavola rotonda su “L’eredità di Mazzolari, i cattolici e la politica oggi”, guidata da Truffelli, nel corso della quale Daniela Mazzuconi, Fulvio De Giorgi e Flavia Piccoli Nardelli hanno cercato di attualizzare l’eredità della lezione mazzolariana per la politica e i cristiani impegnati nella realizzazione del bene comune.

“Sono diverse – ha sottolineato Truffelli – le motivazioni che hanno spinto la Fondazione Mazzolari a scegliere questo tema. Vale la pena ricordare, innanzitutto, che a cavallo tra il 2023 e il 2024 ricorre l’ottantesimo anniversario della nascita della Democrazia Cristiana, nonché il trentesimo del suo scioglimento. Al di là dei legittimi differenti giudizi che possono essere formulati su quella esperienza politica, è indubbio che essa abbia avuto un ruolo decisivo nel dare forma alla democrazia italiana e nell’indirizzare lo sviluppo sociale, culturale e politico non solo del nostro Paese, ma anche dell’Europa. Eppure, la storia della Dc necessita ancora di essere compresa e interpretata in maniera adeguata“.

Un lavoro che non può prescindere dall’apporto che a quella storia venne dato da don Mazzolari, “sia attraverso le sue pubbliche e spesso sferzanti prese di posizione, sia attraverso la fitta rete di relazioni che egli intrecciò con il partito e con molti suoi esponenti: un rapporto fatto di amicizia, sostegno personale e vicinanza spirituale, ma anche di serrati confronti sul piano politico“.

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La sicurezza non è un lusso è un dovere

Ven, 12/04/2024 - 12:44

«La sicurezza sul lavoro non è un lusso, è un dovere. Bisogna parlarne meno e promuoverla di più». Sono le parole a caldo del card. Matteo Zuppi all’indomani dell’incidente alla centrale idroelettrica di Suviana. Il presidente della Cei parla dal palco della manifestazione Cgil e Uil in quel territorio del Bolognese in cui per anni si è impegnato sul fronte della difesa del lavoro e di cui è ancora arcivescovo.

«Il lavoro è vita e deve far vivere – prosegue – è vocazione, dignità della persona, socialità. Se diventa morte, sfruttamento, ingiustizia ciò deve generare corale e convinta repulsione. Per questo oggi chiediamo responsabilità, perché le vittime del lavoro sono uno scandalo». 

Il pensiero va alle sei vittime e allo strazio dei familiari per giorni in attesa di una notizia. Ma va anche alle migliaia di morti sul lavoro di cui il calendario comincia a riempirsi all’inizio di ogni anno.

L’annus horribilis

Il 2024 per il momento si può già considerare un annus horribilis in tema denunce e infortuni. Secondo i dati Inail, in questi primi due mesi dell’anno i casi sono stati 92.711 (+7,2% rispetto a gennaio-febbraio 2023), 119 dei quali con esito mortale (+19,0%). In aumento le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 14.099 (+35,6%).

L’analisi territoriale mostra un aumento significativo delle denunce di infortunio, con la maggiore crescita registrata nella regione Nord-Ovest (+10,2%), seguita dal Centro (+7,5%), Nord-Est (+5,9%), Isole (+4,8%), e infine dal Sud (+4,2%).

Nonostante ciò bisognerà aspettate la fine dell’anno per una stima attendibile dal momento che negli ultimi anni il dato è comunque in calo. Nel 2023 le denunce sono state 585.356, in calo del 16,1% rispetto alle 697.773 del 2022. 

«Tra i fattori che stanno incidendo sull’andamento degli infortuni e delle malattie professionali – aveva detto il commissario straordinario Inail, Fabrizio d’Ascenzo, in occasione della relazione dello scorso anno – c’è l’invecchiamento della popolazione attiva. È aumentata l’esposizione al rischio nelle età più avanzate a causa di uno spostamento in avanti dell’età pensionabile e di un mancato ricambio generazionale: l’incidenza degli infortuni degli over 50enni è del 36,4%, che sale al 50,5% tra i casi mortali». 

L’albero della sicurezza del Mlac

Sulla linea del fronte della battaglia per la sicurezza e la dignità dell’operare, il Movimento dei Lavoratori di Ac (Mlac) da diversi sempre impegnato nella sensibilizzazione e nella conoscenza del fenomeno. Il suo Albero della sicurezza realizzato con caschetti da cantiere antinfortunistica allestiti in oltre 50 città italiane, ammonisce: la sicurezza passa attraverso una cultura del lavoro che deve potersi realizzare senza provocare danni, temporanei o permanenti, ai lavoratori volgendo al progresso e alla crescita umana e sociale.

Sotto accusa oggi è la politica tutta e il sistema di subappalti ormai strutturati per sottrarsi alle diverse voci di spesa e all’oneroso costo del lavoro. Una mala gestione che va a intaccare il sistema proprio nei suoi gangli più deboli. Operai pagati in nero, ditte e cooperative assoldate senza gli elementari parametri di sicurezza, controlli mancanti e tangenti per assicurarsi il silenzio.

Per il segretario della Cgil, Landini «leggi introdotte in questi anni stanno favorendo un modello di fare impresa basato sullo sfruttamento. Su appalti, subappalti e profitto a tutti i costi. Un modello che danneggia i lavoratori che muoiono ma danneggia anche il Paese».

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Migranti. Il fallimento della solidarietà europea

Gio, 11/04/2024 - 09:41

«L’Europa – mentre continuano le tragedie nel Mediterraneo – si chiude in se stessa, trascura i drammi dei migranti in fuga, sostituisce la vera accoglienza con un pagamento in denaro. E pretende ancora di più dai Paesi di frontiera, come l’Italia: controlli più veloci, ritorni nel primo Paese di sbarco di chi si muove in Europa senza un titolo di protezione internazionale, rimpatri facilitati in Paesi terzi non sicuri, chiudendo gli occhi su esternalizzazioni dei migranti. Indebolendo, non da ultimo, la tutela delle famiglie e dei minori». Lo denuncia l’arcivescovo Gian Carlo Perego, presidente della Commissione episcopale per la pastorale delle migrazioni e della Fondazione Migrantes della Cei.

Dalle buone intenzioni alla triste verità

Il presule commenta negativamente il voto con il quale il Parlamento europeo ha approvato a maggioranza il “Patto europeo sui migranti richiedenti asilo e rifugiati”, un accordo che nelle intenzioni dei proponenti «avrebbe dovuto modificare le regole di Dublino, favorire la protezione internazionale in Europa di persone in fuga da disastri ambientali, guerre, vittime di tratta e di sfruttamento, persone schiacciate dalla miseria, con un impegno solidale di tutti i Paesi membri dell’Unione europea nell’accoglienza, il ritorno alla protezione temporanea come si era visto con gli 8 milioni di migranti in fuga dall’Ucraina, un monitoraggio condiviso tra società civili e Istituzioni del mar Mediterraneo per salvare vite nel Mediterraneo».

Invece questo Patto – afferma mons. Perego – segna «una deriva nella politica europea dell’asilo e il fallimento della solidarietà europea, che sembra infrangersi come le onde contro i barconi della speranza. Confidiamo che l’art. 10 della nostra Costituzione rimanga come presidio sicuro per tutelare i richiedenti asilo. Le prossime elezioni europee saranno un banco di prova importante per rigenerare l’Europa a partire dalle sue radici solidali e non piegarla a nazionalismi e populismi che rischiano di dimenticare la nostra comune storia europea».

Migranti: una pezza che pare peggio del buco

Facciamo nostre le critiche e le perplessità rispetto a “una pezza che pare peggio del buco”. Espressioni come «solidarietà obbligatoria ma flessibile» e poi rigidi controlli, prelievo delle impronte di tutti quelli che arrivano, procedure accelerate in vista del rimpatrio, appartengo più a una logica di esclusione che al suo opposto. Ma vediamo:

Solidarietà obbligatoria. Tutti gli Stati Ue sono obbligati a fornire solidarietà a quelli sotto pressione migratoria. Ma possono scegliere se accogliere migranti o invece pagare 20.000 euro a migrante non accolto. Ogni anno è previsto un “pool” di 30.000 posti di accoglienza (anzitutto richiedenti asilo, ma non solo) spostati dai Paesi di primo approdo. La Commissione può in caso di emergenza allargare questa cifra.

Procedura accelerata. Secondo la nuova normativa, gli Stati membri di primo approdo devono fare un vaglio dei migranti. Orientando quelli provenienti da Paesi che in media hanno meno del 20% delle domande di asilo accolte verso la procedura accelerata in prossimità della frontiera esterna. Entro 12 settimane dovrà essere deciso il loro destino, in linea di massima il rimpatrio. Attesa che sarà in centri «chiusi», anche per famiglie con bambini.

Il Paese d’ingresso rimane. Nonostante la promessa di «superare» Dublino, in realtà lo Stato di primo ingresso rimane responsabile del migrante irregolare, anche se la solidarietà obbligatoria attenua questo principio. Tradotto, se il migrante si sposta verso un altro Paese Ue questo potrà rispedirlo a quello di primo approdo. Responsabilità che dura in genere due anni. L’Italia ha ottenuto che sia solo di un anno per quelli arrivati attraverso operazioni di ricerca e salvataggio.

Il futuro dell’Europa si misura sulle persone

Il futuro dell’Europa non si misura solo in termini di politica di difesa e politica estera comune. In occasione di un convegno dedicato al Manifesto di Ventotene e alla Dichiarazione Schuman, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a proposito della costruzione di un’Europea unita ebbe a dire: «Io credo che il valore di base, quello cha ha condotto a questa svolta, che tuttora si sviluppa in maniera alle volte sofferta, ma costante, sia il valore della predominanza, dell’importanza preminente del valore della persona, di ogni singola persona».

Nel Manifesto di Ventotene, nelle prime righe, si apre con un’affermazione di grande significato: «L’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un centro autonomo di vita». Questa affermazione sul valore delle persone è quella che è stata al centro di questo capovolgimento di prospettiva degli europei subito dopo la guerra. E questo principio, da cui derivano tutti gli altri, si trasferisce poi nel principio democratico. Nei principi della democrazia che sono quelli che hanno condotto sedici anni dopo il Manifesto all’avvio concreto dell’integrazione europea.

In tal senso,  il voto del Parlamento Europeo è un passo indietro.

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Non mancare, anche questa è casa tua

Mer, 10/04/2024 - 07:00

Il giorno è di quelli buoni, maiuscolo e rosso svetta tra tutti sul calendario di casa; un aprile pieno di impegni, non c’è che dire.  Il tempo incerto come al solito, ma il sole si farà vedere certamente, e poi Roma in aprile… Comunque portiamo l’ombrello, o il kway meglio, o entrambi… Fondamentale vestirsi a cipolla, che se fa troppo caldo ci si toglie qualche strato, e mettiamo il caso faccia freddo… Non si sa mai.  Prima di un viaggio importante sarà meglio dormire bene, risparmiare un po’ di voce e puntare una sveglia “appuntita”, una di quelle che non lasciano scampo. Qualcuno comunque verrà a svegliarci, in fondo, perché il giorno è di quelli buoni e l’appuntamento è imperdibile.

Road to Rome

Per molti bambini e ragazzi dell’Acr A Braccia Aperte potrebbe essere il primo viaggio associativo della vita, la prima volta in Piazza San Pietro, il primo scoprire di essere parte di una comunità grande, che si sforza di non lasciare indietro nessuno. Tante prime volte tutte insieme, inserite in un bagaglio che ciascuno porterà in spalla più o meno figuratamente, alcuni con un po’ di fatica, altri con una disinvoltura innata, tale da potersi confondere con le guide di Roma sin da subito; tutti però immancabilmente fianco a fianco. Non solo gli amici di sempre, gli educatori, i genitori, ma tanti altri volti s’affolleranno, tante bandiere e tante magliette uscite dalla “cipolla” indenni, nella concitazione dell’ultimo strato. Perché c’è da sbracciarsi, si c’è molto da sbracciarsi, c’è qualcuno da salutare, qualcuno che ha invitato tutti noi, in questo splendido luogo.

Avviso ai “navigati”

All’apparire del Santo Padre i più esperti sapranno già dove guardare, accompagneranno lo sguardo dei più piccoli nella giusta direzione, scortandoli ancora un po’ in un sentiero che sarà presto familiare. Lo zaino comincerà a svuotarsi di qualcosa per far posto ad altro, in un passaggio spontaneo: non si è più quelli dell’arrivo alla spicciolata in una piazza forse ancora vuota, ma già si respira l’aria di un corpo unico. Come i viaggiatori esperti sanno, per quanto il luogo sia familiare e il percorso già più volte battuto, ogni viaggio rivela sorprese, emozioni e storie uniche. L’Acr vuol farsi “capace” di queste storie, di piccoli e grandi che scelgono di stare insieme alla sequela di Cristo, che scelgono di non fermarsi nei propri cortili ma di immaginare ogni luogo come casa.

Non mancare, anche questa è casa tua 

“Questa è casa tua!” è solo l’ultima tappa di un (Super) triennio in cui l’Acr si è sforzata ancora di più di abitare la vita dei ragazzi senza riserve, con cura e prossimità consci che accogliere tutti a braccia aperte è solo il primo passo per sentirsi corresponsabili. Siamo grati a tutti gli educatori per quanto ogni giorno fanno per accompagnare bambini, ragazzi e famiglie a coltivare la propria amicizia con il Signore. Non ospiti, ma abitanti appassionati e coinvolti sin da piccoli nella vicenda della Salvezza e nella storia della Chiesa, in un piccolo oratorio di provincia come in una Piazza San Pietro stracolma e festante, che gioiosa risponde all’invito di papa Francesco. Non mancare, anche questa è casa tua.

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Sostenibilità. La strada giusta

Mar, 09/04/2024 - 08:49

Nella mattinata di lunedì 8 aprile si è svolta a Milano – presso la Sala Dino Buzzati del Corriere della Sera – la premiazione del contest sui bilanci di sostenibilità promosso da Buone Notizie, l’inserto del Corriere che racconta da 7 anni le buone pratiche e il bene esistente in giro per il Paese, e da NeXt – Nuova Economia per Tutti, associazione nazionale di promozione sociale che ha l’ambiziosa mission di cambiare dal di dentro i modelli economici dominanti.

Sono state più di 250 le realtà iscritte alla terza edizione del premio (+ 49% al 2023), suddivise in varie categorie (grandi, medie, piccole aziende ed enti del Terzo Settore), a significare come il tema interessi sempre più realtà del Paese e come stia diventando importante raccontare e misurare il proprio impegno e i propri sforzi nell’azione non finanziaria.
I pilastri della rendicontazione restano quelli ormai riconosciuti a livello internazionale, gli ESG, che delineano in maniera dettagliata il concetto di sostenibilità: l’attenzione verso l’ambiente (environmental), il sociale (social) e la governance.
I documenti pervenuti sono stati valutati su 30 linee d’azione, dieci per ognuno dei pilastri.

Grande gioia e soddisfazione per l’Azione cattolica italiana, che con il suo V bilancio di sostenibilità (quello 2023 su dati 2022) si posiziona al secondo posto del podio relativo agli enti del Terzo Settore.
Ha ritirato il premio il vicepresidente nazionale per il settore adulti, Paolo Seghedoni, che si è detto particolarmente orgoglioso e soddisfatto del traguardo raggiunto: “Siamo molto contenti perché l’Ac ha cominciato tempo fa questo percorso sulla strada della sostenibilità. Il miglioramento che c’è stato nel documento premiato quest’anno non riguarda solo la rendicontazione, ma soprattutto il dinamismo che ci ha portati ad uscire dalla nostra zona di comfort e che sta diventando sempre di più radicato nei territori in cui abitiamo e in cui viviamo”.

Un cammino lungo un quinquennio

Possiamo dire che la dimensione della sostenibilità, tramite la rendicontazione e il racconto di quello che si realizza e viene messo in atto a livello locale, sta spingendo l’Associazione ad essere più presente nel Paese, oltre che nelle realtà ecclesiali.
Il bilancio di sostenibilità dell’Ac premiato quest’anno (Qui il pdf) è frutto di un processo cominciato tra il 2018 e 2019, che ha visto raccogliere e pubblicare con trasparenza una serie di dati per aiutare chiunque a conoscere meglio l’associazione in tutti i suoi aspetti più vitali e significativi.

Le linee guida della GRI (Global Reporting Initiative), nella versione “Standards”, sono state adoperate per la creazione dei bilanci di sostenibilità associativi; l’Azione cattolica Italiana ha scelto allora di utilizzare questo metodo di rendicontazione integrando una varietà di esperienze e storie che caratterizzano l’organizzazione e ne testimoniano concretamente l’azione.
La metodologia si è rivelata efficace e confermata in tutte le edizioni del bilancio.
Tutti i principali portatori di interesse nell’organizzazione sono stati coinvolti in processi di coinvolgimento (stakeholder engagement) grazie all’adozione di questa metodologia.

L’impatto sociale delle esperienze

Nel processo di rendicontazione degli ultimi anni, in particolare, è stato inserito ed è diventato rilevante l’elemento della valutazione di impatto su alcune esperienze significative, nazionali e locali. Questo ha certamente permesso un miglioramento generalizzato nel bilancio e una maggiore comparabilità di anno in anno. È stato così realizzato un set di indicatori specifici (in gergo kpi, indicatori chiave di prestazione) per ogni valutazione di impatto che l’associazione intende continuare a monitorare rispetto alle proprie attività e ai propri progetti futuri.

La scelta di dotarsi di indicatori per misurare l’impatto sociale di alcune iniziative ha avuto e continua ad avere due obiettivi: in primo luogo creare uno strumento chiaro verso l’interno che possa trasmettere l’essenza e il valore dell’Ac; in secondo luogo, far maturare una maggiore consapevolezza dell’associazione stessa e del suo impegno a servizio della comunità, così che nei territori si possa percepire cosa potrebbe accadere in negativo se non ci fosse più l’Azione cattolica.

Promuovere processi generativi

Come è stato segnalato nel corso della premiazione, l’Azione cattolica Italiana offre lo strumento del bilancio di sostenibilità a tutti coloro che vogliono condividere insieme un percorso o un cammino. La condivisione di progetti e lo scambio di esperienze, infatti, promuove l’amicizia sociale che rigenera il tessuto ecclesiale e civile dell’Italia.
“Il bilancio di sostenibilità – ha scritto il presidente Giuseppe Notarstefano nella lettera introduttiva – è a disposizione per tutti coloro che sostengono e promuovono una comunicazione generativa, che non rinuncia all’interrogazione critica e alla possibilità di condividere e far circolare esperienze positive, che mostrano la forza e la gentilezza di un Bene che è di tutti e per tutti”.

Il nuovo bilancio di sostenibilità, giunto alla sesta edizione (2024 su dati 2023), verrà ultimato e confezionato in queste settimane e presentato ai soci e alle socie in occasione della XVIII Assemblea nazionale, a fine aprile.

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Vent’anni di vantaggio

Dom, 07/04/2024 - 15:30

«Di qualsiasi cosa i mass media si stanno occupando oggi, l’università se ne è occupata
venti anni fa e quello di cui si occupa oggi l’università sarà riportato dai mass media tra
vent’anni. Frequentare bene l’università vuol dire avere vent’anni di vantaggio. È la stessa
ragione per cui saper leggere allunga la vita. Chi non legge ha solo la sua vita, che, vi
assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il
Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con
Gulliver e incontrato nani e giganti. Un piccolo compenso per la mancanza di immortalità»
(Umberto Eco).

Tra i tantissimi corsi universitari, ce n’è qualcuno che oltre ad assegnare materiale da studiare
dia anche spazio alla ragione per cui farlo, offrendo l’occasione per discutere le motivazioni
personali che ci appassionano all’approccio con il tema? Che senso ha l’Università oggi? E’
ancora un luogo generativo per la generazione di giovani che sogna di contribuire in maniera
qualificata alla società dell’oggi e del domani?
La stessa parola studium racchiude un significato ben più profondo dell’applicarsi in una
disciplina, come se le conoscenze dovessero attaccarsi in testa come post-it, poi. Nel termine
è racchiuso tutto il senso di cura, della diligenza e dell’impegno, uniti all’entusiasmo, alla
passione e all’amore per il sapere, per ciò che si potrà così saper fare per e con gli altri.

Che tu sia studente, laureato, o curioso di fare un affondo nel mondo dell’Università, questi
articoli saranno l’occasione per dare spazio e spunti a questa costruzione di senso. Chiunque
vorrà potrà riflettere sull’esperienza vissuta o che stai vivendo, guardando alla disciplina che
ha preso a cuore e chiedendosi: che cosa ho colto di questa disciplina? quali chiavi di lettura e
strumenti per stare e agire nel mondo mi può dare? a che cosa potrebbe servire per il
miglioramento della società?

Si troverà così a rileggere la propria storia personale in relazione all’impegno nello studio,
con gli entusiasmi e le fatiche, gli incontri che hanno chiarito o hanno aiutato nel cammino, le
scoperte entusiasmanti e il senso di un percorso in continua evoluzione. Si tratta di una
grande ricchezza, spesso sommersa perché non illuminata da uno sforzo di consapevolezza,
perché non trova posto tra le voci del libretto universitario o del curriculum vitae. Noi
vogliamo darle attenzione perché crediamo che sia la struttura portante della formazione
personale, senza la quale quella professionale si rivelerebbe un guscio vuoto. Lo studio ti ha
fatto e ti fa crescere personalmente? come?

Ogni storia ha una trama, è tessuta di fili che con continuità attraversano i singoli episodi
mostrandosi in modi differenti, evolvendo nelle forme, garantendo l’originalità, ovvero il
collegamento con l’origine. L’esercizio di connettere le tappe della nostra storia presente e
passata, riconoscendo ciò che più ci ha colpito – è stato significativo perché ha lasciato un
segno – è un modo per imparare a scegliere nel futuro. È ascoltando ciò che risuona più
vivamente in noi che distinguiamo i desideri profondi del nostro cuore e ci orientiamo a
realizzare i sogni che vanno maturando in noi. Perché un ragazzo, una ragazza ha scelto di
fare l’università, e questo percorso di studi? come si è evoluta la sua motivazione? quali
progetti di vita li hanno spinti in questa direzione? quali elementi l’hanno confermata o
disconfermata?

Guardando a distanza di tempo i moti del cuore che abbiamo sperimentato, scorgiamo oltre le
emozioni che ci hanno attraversato e ci addentriamo nello spazio della volontà, dei valori, dei
desideri. È la dimensione spirituale della persona, cioè della vita interiore, che accomuna
credenti e non. Come la ricerca esistenziale ed intellettuale si intersecano? Chi vive o ha
vissuto questo percorso di crescita in una dimensione di fede, poi, si pone ulteriori domande
etiche, ontologiche, pragmatiche.

L’esperienza dello studio universitario, in qualunque ambito si collochi, è un’esperienza
determinante per un giovane. Per la sua identità, per la sua maturazione, per la costruzione di
una personale visione del mondo e del futuro, per la sua capacità di collocarsi
relazionalmente, socialmente, culturalmente. Essa mette alla prova la capacità del giovane di
attrezzarsi adeguatamente, di sperimentare atteggiamenti determinanti, come la
programmazione realistica, la capacità di organizzarsi, di motivarsi, di vivere la fatica e
l’impegno, l’incontro con i propri limiti, ma anche la gioia della scoperta, l’uso
dell’immaginazione, l’accostamento al mistero. E la capacità di immaginare il futuro.
Tutto questo passa attraverso storie personali di vita, incontri-scontri con la realtà dello studio
e dell’università, delle persone che ne fanno parte e delle esperienze in cui ci immergiamo,
del contesto del piccolo e grande mondo in cui siamo immersi.

Alla luce di tutto ciò, questa rubrica nasce con l’intento di dare voce a questa ricchezza,
celata nel percorso di formazione di ciascuno e troppo spesso nascosta all’ombra delle tappe
ufficiali nell’università, che fatichiamo a riconoscere e valorizzare anche in prima persona.
Non si tratta infatti di fare uno studio sociologico o una raccolta di saggi dotti sul tema dei
giovani, le loro prospettive, del futuro del lavoro ecc. Diversamente da quanto spesso accade,
la rubrica è uno spazio pensato da giovani in cui i giovani stessi raccontano la propria
prospettiva “dall’interno”. Un “interno” che significa sia senza uno sguardo adulto che si
avvicina con una prospettiva diversa, sia con l’attenzione alla vita interiore di ciascuno, in
prima persona.

Diamo spazio quindi ai racconti di come diversi giovani hanno vissuto questo periodo e di
speranze/disillusioni, in cosa è mutato cammin facendo, e se e come è stata un’esperienza “di
vita vera” (Etty Hillesum)1.

1 «Quando, in passato, sedevo alla mia scrivania, ero presa da irrequietezza al pensiero di
perdermi qualcosa fuori, qualcosa della “vera” vita. E così non riuscivo mai a concentrarmi
sui miei studi. E quando ero immersa nella “vita vera#”, in mezzo alle persone, provavo
sempre il desiderio disperato di tornare a quella scrivania e non ero affatto allegra insieme
agli altri. Quella distinzione artificiale tra studio e “vita vera” adesso è scomparsa. Adesso
“vivo” davvero dietro alla mia scrivania. Lo studio è diventato una “vera” esperienza di vita
e non è più solo qualcosa che riguardi la mente. Alla mia scrivania io sono completamente
immersa nella vita, e trasporto nella “vita vera” la tranquillità interiore e l’equilibrio che mi
sono conquistata nell’intimo. Prima dovevo ogni volta ritirarmi dal mondo esterno, perché le
molte impressioni mi confondevano e mi rendevano infelice. Dovevo rifugiarmi in una stanza
silenziosa. Adesso quella “stanza silenziosa”, per dir così, la porto sempre con me, e mi ci
posso ritirare a ogni istante, sia che mi trovi in un tram pieno di gente sia nel mezzo della
confusione in città» (Etty Hillesum).

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Il rischio è una sanità a pagamento

Sab, 06/04/2024 - 07:00

«Se non interveniamo il rischio è una sanità a pagamento, come negli Usa». L’espressione forte, ma largamente condivisa da chi ogni giorno ha a che fare con la sanità pubblica, è dell’oncologo e ricercatore Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri (qui l’intervista rilasciata a Segno nel mondo). Il dibattito, o forse bisognerebbe ammettere, presa di coscienza di una realtà che è sotto gli occhi di tutti, ha preso di nuovo vigore in questi giorni con la pubblicazione di una lettera che quattordici simboli della scienza italiana – tra i firmatari proprio Silvio Garattini – hanno scritto per chiedere maggiori investimenti in favore della sanità pubblica.

Eccellenze e problemi

Il Servizio sanitario nazionale oggi ha eccellenze nel campo della ricerca, della prevenzione e della cura. Ma soffre, nella maggior parte dei casi, soprattutto nelle regioni del sud, di mali endemici e “istituzionali” che vanno a minare quelle che sono le fondamenta stesse del Servizio sanitario, e cioè la possibilità di cura e di prevenzione per tutti i cittadini, nessuno escluso. Soprattutto di quelli – e sono la maggioranza – che non hanno possibilità di accedere alla sanità privata.

Dal 1978, data della sua fondazione, al 2019 il Ssn in Italia ha contribuito a produrre il più marcato incremento dell’aspettativa di vita (da 73,8 a 83,6 anni) tra i Paesi ad alto reddito, spiegano i ricercatori nella lettera. Ma oggi i dati dimostrano che il sistema è in crisi: arretramento di alcuni indicatori di salute, difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura, aumento delle diseguaglianze regionali e sociali.

I problemi sono noti. Le aspettative per ottenere una visita ospedaliera o per la diagnostica sono interminabili. La prevenzione, spesso, ne paga il prezzo. Gli anziani monoreddito sono quelli che più subiscono la mancanza di efficienza di un servizio di cura pubblico previsto dalla Costituzione. Senza contare che anche la sanità pubblica costa. Il ticket per l’acquisto di medicinali è importante e ormai gran parte dei farmaci sono stati sostituiti dai cosiddetti “integratori”, che hanno un costo altissimo.

Pochi soldi per il Ssn

Il Ssn è sottofinanziato: nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil (meno di vent’anni fa). «Il pubblico garantisce ancora a tutti una quota di attività (urgenza, ricoveri per acuzie), mentre per il resto (visite specialistiche, diagnostica, piccola chirurgia) il pubblico arretra, e i cittadini sono costretti a rinviare gli interventi o indotti a ricorrere al privato». 

«Progredire su questa china, oltre che in contrasto con l’art. 32 della Costituzione, ci spinge verso il modello Usa, terribilmente più oneroso (spesa complessiva più che tripla rispetto all’Italia) e meno efficace (aspettativa di vita inferiore di sei anni)». 

Il divario tra Nord e Sud d’Italia in termini di diritto alla salute si è, con gli anni, notevolmente ampliato.  «È dunque necessario – spiegano i ricercatori – un piano straordinario di finanziamento del Ssn e specifiche risorse devono essere destinate a rimuovere gli squilibri territoriali. Ancora, l’Ssn deve recuperare il suo ruolo di luogo di ricerca e innovazione al servizio della salute».

L’assistenza è a rischio

Il futuro appare fosco. Tra 25 anni quasi due italiani su cinque avranno più di 65 anni (molti di loro affetti da almeno una patologia cronica) e il sistema, già oggi in grave difficoltà, non sarà in grado di assisterli. In più, la spesa per la prevenzione in Italia è da sempre al di sotto di quanto programmato, «il che spiega in parte gli insufficienti tassi di adesione ai programmi di screening oncologico che si registrano in quasi tutta Italia». 

Come rivitalizzare allora il nostro Servizio sanitario nazionale? 

Partendo dalla percentuale di spesa sociale che lo Stato destina a esso. «La vera emergenza è adeguare il finanziamento del Ssn agli standard dei Paesi europei avanzati (8% del PIL)».

Un Ssn che funziona non solo tutela la salute ma contribuisce anche alla coesione sociale.

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Le frontiere nella storia e nel tempo presente 

Gio, 04/04/2024 - 10:00

Nel corso dei millenni il modo di intendere le frontiere ha subito profondi cambiamenti. Da scopi prevalentemente amministrativi a una funzione di controllo e di separazione, fino alla deriva nazionalistica nel tempo della globalizzazione.

Il futuro dell’umanità esige invece che si affrontino insieme le sfide globali. Solo frontiere permeabili possono assicurare una pace e una prosperità condivisa.

Scrive sul tema il Presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto Toniolo, Sandro Calvani sulla rivista Dialoghi n. 1/2024.

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Istat Italia. Si aggrava l’inverno demografico

Gio, 04/04/2024 - 07:00

La sfida da vincere è economica e culturale, ad un tempo. Servono bonus e assegni, certo. Ma serve innanzitutto un cambiamento di mentalità. Il passaggio da “famiglia che consuma” a “famiglia che genera”. Del resto, i dati Istat per l’anno 2023 non lasciano dubbi e si confermano una accelerazione della tendenza in corso da anni: i nati residenti in Italia sono stati 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (6,7 nel 2022). La diminuzione di nascite rispetto al 2022 è di 14 mila unità (-3,6%).

Dal 2008, ultimo anno con un aumento delle nascite, il calo è di 197mila (-34,2%). Il numero medio di figli per donna scende da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023. Molto vicino al minimo storico di 1,19 figli nel lontano 1995. E in 10 anni le donne in età fertile sono diminuite di 2 milioni a quota 11,5 milioni, difficile dunque sperare in una ripresa.

L’immigrazione è una risorsa imprescindibile per l’Italia

L’immigrazione conferma il ruolo importante nel contesto demografico. Gli stranieri nel 2023, oltre a frenare il calo della popolazione con un saldo migratorio che compensa quasi del tutto il saldo naturale negativo, contribuiscono a rallentare l’invecchiamento. Nel 2023 il saldo migratorio con l’estero è pari a +274mila unità, un guadagno di popolazione effetto di due dinamiche opposte. Da un lato l’immigrazione straniera, ampiamente positiva (360mila), esiguo il numero di partenze di stranieri (34mila). Dall’altro, l’emigrazione all’estero degli italiani (108mila) non è rimpiazzato da altrettanti rimpatri (55mila). Il risultato è un guadagno di popolazione straniera (+326mila) e una perdita di cittadini italiani (-53mila).

I prossimi Stati generali della natalità

Vengono in mente i non troppo lontani appelli di papa Francesco, i suoi tentativi di mettere al centro della nostra attenzione il tema della natalità. Sottolineando, ma meglio sarebbe dire denunciando, che è «urgente» e «basilare» invertire la tendenza e rimettere in moto l’Italia: «a partire dalla vita, a partire dall’essere umano», come ebbe a dire in occasione del suo intervento alla prima edizione degli Stati generali della natalità, promosso dal Forum delle famiglie nel maggio 2021 a Roma. (Ricordiamo che la quarta edizione degli Stati generali della natalità è il programma  il 9 e 10 maggio 2024).

L’Italia per nascite è fanalino di coda in Europa

L’Italia si trova così da anni con il numero più basso di nascite in Europa, in quello che sta diventando il vecchio Continente non più per la sua gloriosa storia, ma per la sua età avanzata. Con un’immagine, in questo nostro Paese ogni anno è come se scomparisse una città di oltre duecentomila abitanti.

Conosciamo già le cause della scarsa natalità: tardivo raggiungimento dell’indipendenza economica e abitativa, carriere che sacrificano la famiglia, scarse politiche di conciliazione famiglia-lavoro, cultura familiare svilita. Senza dimenticare che fare un figlio costa.

La denuncia del Forum delle famiglie

Come denunciato più volte da Adriano Bordignon, presidente del Forum delle famiglie, in Italia, Paese sviluppato e strategico del G20, più di una famiglia su quattro entra nella soglia di povertà relativa alla nascita del terzogenito e il terzo figlio è la seconda causa di povertà dopo la perdita del lavoro. «Di fronte a tutto ciò – sostiene Bordignon – serve un Piano shock di rilancio di cui deve farsi immediatamente carico la politica nazionale, ma anche europea e locale. Non possiamo più perdere tempo altrimenti verremo ricordati come quelli che sapevano e non hanno agito».

Un figlio è evento che incide profondamente sull’economia familiare e non stupisce la contrazione di nascite in anni di crisi economica e di impoverimento dei salari che hanno prostrato l’umore e il portafoglio della popolazione.

Serve una cultura della natalità

La denatalità impone, dunque, di riconsiderare i paradigmi socioeconomici. Tuttavia non servono paroloni tecnici per rimboccarsi le maniche. Una comparazione ad ampio spettro permette anche di rinvenire quanto possa essere determinante, nel favorire una cultura della natalità (perché è di questo che parliamo), l’efficacia delle politiche a sostegno della famiglia: la certezza di poter usufruire di sussidi e servizi per i propri figli gioca un ruolo fondamentale nel tenere in armonia la condizione di lavoratore con quella di genitore.
Da questa semplice considerazione potrebbe partire una riflessione più ampia sulla famiglia. Perché oggi, in Italia, uno dei fattori che contribuisce a dissuadere molti giovani dalla scommessa su una famiglia propria è la configurazione stessa della famiglia come uno svantaggio: legarsi in un tempo di cose effimere, assumersi la responsabilità di una nuova creatura davanti a modelli politici, istituzionali e sociali che fanno la corsa alla deresponsabilizzazione, darsi una regola di vita mentre il mondo viene deregolamentato; tutto questo appare sconveniente, anacronistico, forse addirittura inutile.

Da “famiglia che consuma” a “famiglia che genera”

La sfida da vincere è economica e culturale, ad un tempo. Servono bonus e assegni, certo (anche se in verità è ancora ben poco quello che la politica ha deciso di destinare alle famiglie, “Assegno unico” compreso). Serve innanzitutto un cambiamento di mentalità, di priorità da parte di tutti, singoli e comunità. Il passaggio da “famiglia che consuma” a “famiglia che genera”.
Non è una trasformazione da poco. Per i credenti è ricordarsi che la famiglia è la «cellula fondamentale della società» (Evangelii gaudium, 66); che il matrimonio è realmente un progetto di costruzione della «cultura dell’incontro» (Fratelli tutti, 216). È per questo che alle famiglie spetta la sfida di gettare ponti tra le generazioni per trasmettere i valori che costruiscono l’umanità. Insomma, c’è bisogno da parte delle famiglie di una nuova generatività e creatività per esprimere nelle sfide attuali i valori che ci costituiscono come popolo di Dio nelle nostre società e nella Chiesa.

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Democrazia: un bene da proteggere

Mer, 03/04/2024 - 09:23

Noi che amiamo la democrazia, vogliamo ricordare i cento anni dall’assalto squadrista alla canonica di Sandrigo, al suo parroco don Giuseppe Arena, e a due giovani sacerdoti, don Federico Mistrorigo e don Francesco Regretti, la notte del 7 aprile 1924.

Nel vicentino le elezioni politiche del 6 aprile 1924 – le ultime prima del 1946 – non diedero al Partito fascista i risultati che esso si aspettava. A Sandrigo, in particolare, forse unico caso in Italia, vi fu una clamorosa affermazione del Partito popolare: 492 voti contro i 264 del Partito fascista.
All’indomani di questo risultato, i capi fascisti locali misero in atto una spedizione punitiva contro colui che ai loro occhi era il responsabile della sconfitta, il parroco don Giuseppe Arena. Uomo di studio e d’azione, era stato delegato vescovile per l’Azione cattolica e direttore dell’Ufficio cattolico del lavoro; soprattutto era stato e continuava ad essere in diocesi e nella sua parrocchia sostenitore e animatore dell’associazionismo cattolico, delle organizzazioni operaie, della dottrina sociale della Chiesa e della cultura scientifica, infaticabile difensore della giustizia sociale. Grazie alla collaborazione dei due cappellani aveva visto fiorire i circoli della Società della Gioventù cattolica, gli Esploratori, la Scuola di cultura cattolica.

In trecento per il vile l’assalto alla canonica

Nella notte tra il 7 e l’8 aprile, trecento squadristi, fatti venire da fuori, perché non fossero riconoscibili, presero d’assalto la canonica. Nel frattempo una soffiata aveva consentito di mettere al sicuro l’arciprete. Gli squadristi, invasa la canonica, schiaffeggiarono la sorella dell’arciprete, bastonarono a sangue il cappellano don Federico Mistrorigo e lo trascinarono a pugni e calci in piazza davanti al loro capo, che riconobbe non essere lui l’arciprete. S’impadronirono delle chiavi dei cancelli della canonica, affermando che sarebbero servite per un’altra volta, e si diressero al Patronato Ruffini, sperando di trovarvi lì don Arena.
Trovarono l’altro cappellano, il direttore del patronato, don Francesco Regretti: lo fecero uscire col pretesto della richiesta di un malato, trascinarono anche lui in piazza, lo strapparono dalle mani dei carabinieri presso i quali si era accostato, lo caricarono a forza in un automezzo e lo trasportarono a 26 chilometri di distanza, dove lo abbandonarono tramortito e sconvolto in aperta campagna, non senza prima avergli orinato addosso. Il trauma psicologico e una sofferenza cardiaca lo segnarono per tutta la vita. Con minacce gli fu imposto di non denunciare alla giustizia né di diffondere la notizia.

Il coraggio di costituirsi parte civile

Ma i tre preti si costituirono parte civile contro il capo fascista e contro la banda di ignoti capeggiata, sembra, dallo stesso squadrista accusato dell’omicidio di Giacomo Matteotti. Questo, almeno, è quanto risulta da una lettera indirizzata molti anni dopo, nel ’47, per dovere di giustizia, dallo stesso don Mistrorigo al presidente della Corte d’Assise di Roma dove si celebrava il processo per il delitto Matteotti.

Il vescovo Ferdinando Rodolfi la domenica successiva all’assalto scomunicava davanti alla popolazione riunita in Chiesa gli organizzatori e gli esecutori della spedizione.

Questi i fatti, a lungo tristemente noti anche fuori dal circondario. A cento anni di distanza, quando ormai non ci sono più testimoni diretti, e al tempo stesso sembra messo talvolta in discussione, nelle parole e nei fatti, l’antifascismo, è sembrato doveroso all’Azione cattolica parrocchiale di Sandrigo di ricordare quella notte di terrore, con l’aiuto degli storici Alba Lazzaretto e Mariano Nardello, accademici olimpici, e rendere omaggio ai giovani sacerdoti brutalmente colpiti.

Questi sono tempi diversi, ma la democrazia è un bene da proteggere

Che cosa dice oggi a noi questa vicenda? Oltre alla commozione e al ribrezzo che suscita la lettura delle cronache dei fatti, risulta evidente che, pur tra tante contraddizioni, nel nostro Paese viviamo ora tempi decisamente più sereni. Ci pensiamo? Trecento squadristi, non tre, all’assalto di un prete! Cosa avrà provato in quei 26 chilometri don Regretti, lui che aveva studiato a Bergamo, alla Scuola di Cultura sociale, con don Giovani Minzoni, assassinato proprio l’estate precedente ad Argenta dai fascisti? E poi c’è il valore della testimonianza: quei tre preti ebbero il coraggio di costituirsi parte civile; il vescovo ebbe la forza di prendere ripetutamente posizione. E ancora, i cittadini di Sandrigo erano riusciti ad opporsi alla propaganda violenta e ad esprimere un voto diverso. Esempio di resistenza e democrazia.

Don Federico e don Francesco portarono i segni dell’aggressione per tutta la vita, che, però, spesero a fare grandi cose anche negli anni successivi. A don Regretti, tra l’altro, deve gratitudine l’Ac nazionale: egli diresse tra il 1930 e il 1940 le riviste dell’Associazione e ideò il mitico Vittorioso. Gli attestati di affetto e ammirazione inviati alla sua morte, avvenuta nel 1957, da personalità come il cardinale Dalla Costa, monsignor Montini, Giorgio La Pira, Vittorino Veronese e da Francesca De Gasperi dicono la statura dell’uomo. Noi ad entrambi i cappellani dobbiamo il dono della democrazia e della libertà su cui vigilare ogni giorno.

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Buona Pasqua!

Ven, 29/03/2024 - 08:00

«Nel giorno di Pasqua germoglia in maniera delicatissima e segreta una speranza» (D. Bonhoeffer)

Vedere Cristo risorto significa esattamente vedere come Dio ama l’umanità dall’eternità, come tutto ciò che è umano – incluse le sue piaghe – sia illuminato da questo amore divino che apre alla speranza.

Auguri di Santa Pasqua dalla Presidenza nazionale di Ac

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Quel dono che sono i giovani per la Chiesa

Mer, 27/03/2024 - 09:29

Quando quest’estate tornammo da Lisbona insieme a Emanuela scrivemmo di esserci portati a casa la consapevolezza che papa Francesco stesse gridando al mondo che questo era il tempo per abbandonare il giovanilismo di facciata. Quel youth washing oggi ormai molto praticato in tanti contesti civili ed ecclesiali. A quella convinzione, leggendo le parole del Messaggio che Francesco ci ha rivolto lunedì nel quinto anniversario dell’Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, si è aggiunta la certezza di essere profondamente guardati e intensamente abbracciati.

Da giovane mi sento guardato con lo sguardo della cura, perché papa Francesco non si stanca di ricordarmi ciò che io tendo a dimenticare, che la mia vita al Signore va bene così come è: «Lui, che ha dato la sua vita per te, non aspetta, per amarti, la tua perfezione».
Da giovane mi sento avvolto da un abbraccio che sostiene, perché al posto di quelle dichiarazioni di speranza verso le giovani generazioni che finiscono sempre per rivelarsi una fiducia controllata o di facciata, nelle parole del papa trovo l’incoraggiamento costante a riconoscere il valore che noi giovani sappiamo portare al cammino di tutta la Chiesa.

È così che, leggendo le parole di papa Francesco, mi sono trovato a ripensare alle riflessioni sullo “scartare” di uno scrittore, Guido Marangoni. Perché se è vero che da papa Francesco abbiamo imparato ad accorgerci della logica dello scarto che drammaticamente connota il nostro tempo, mi sembra ancor più vero che è dal papa che stiamo imparando a “scartare” e cioè di aprire la vita delle persone. Perché, come scrive Marangoni, «oltre a rifiutare o escludere», scartare il dono della vita dei fratelli e delle sorelle è l’unico modo «per guardarci dentro» e scoprire la sete di Amore che abita i nostri cuori. Quando è prezioso imparare, come fa papa Francesco, a «scartare le persone per scoprirle, per guardarle dentro, invece di scartare per escluderle» (1).

Celebrare questo quinto anniversario della Christus vivit con un messaggio a noi giovani, allora, non è tanto ricordare con nostalgia un tempo entusiasmante per la Chiesa ma è un invito a fare memoria del dono che sono i giovani per la Chiesa. Significa ricordare per alimentare le speranze che hanno abitato i giovani venuti a Roma a marzo del 2018 per la riunione Pre-Sinodale. Ancora mi emoziono ricordando l’entusiasmo di Luisa, Adelaide e Gioele che in quei giorni portavano i sogni e le speranze, i dubbi e le preoccupazioni dei giovani italiani, nel dialogo con i giovani di tutto il mondo, all’attenzione della Chiesa universale. Quei sogni, quelle speranze, quei dubbi e quelle preoccupazioni sono domande di vita anche dei giovani di oggi e devono trovare un luogo libero e accogliente nei nostri cammini di fede.

Ricordare il quinto anniversario della Christus vivit, ancora,significa pensare con stupore al ricordo dei giovani italiani che Per mille strade nell’agosto di quell’anno vennero a Roma per incontrarsi, porre domande di vita al Santo Padre e pregare per l’Assemblea sinodale dei vescovi che sarebbe iniziata quell’autunno. Sono le stesse domande a cui papa Francesco a Lisbona ha risposto incoraggiandoci a non avere paura e ribadendo che di noi «la Chiesa e il mondo hanno bisogno come la terra della pioggia».

Ricordare l’anniversario della Christus vivit, infine, significa rievocare gli appuntamenti informali e conviviali vissuti il giovedì sera con i padri sinodali in via della Conciliazione nell’ottobre 2018, quando molti di loro scelsero di proseguire ad ascoltare e dialogare con i giovani per continuare a discernere la volontà del Signore. È quello stesso processo che stiamo continuando a vivere con il cammino sinodale e con il Sinodo universale sulla sinodalità.

Celebrare l’anniversario della Christus vivit sfida la Chiesa a saper accompagnare noi giovani, a saper comprendere e abitare i nostri grandi opposti che ci vedono essere, contemporaneamente, entusiasti sognatori e pessimisti frustrati, pronti a impegnarci con gratuità e dedizione e abitati dal senso di inadeguatezza e dallo scoraggiamento.

Perché «Cristo vive e ci vuole vivi» e la nostra vita, così diversa dalle generazioni che ci hanno preceduto, è preziosa, è «chiasso buono», «motore pulito e agile […] modo originale di vivere e annunciare la gioia di Gesù Risorto» di cui la Chiesa oggi ha bisogno per esplorare con creatività vie nuove rimanendo fedele alle sue radici.

(1) G. Marangoni, Universi di-versi, Sperling & Kupfer, pp. 21-22.

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Pasqua 2024: si alzino le bandiere bianche!

Mar, 26/03/2024 - 07:00

Nel drammatico contesto internazionale, segnato da terrorismo e guerre fratricide, l’Azione Cattolica Italiana, le ACLI, l’AGESCI, la Comunità Papa Giovanni XXIII, il Movimento dei Focolari Italia e Pax Christi dedicano, comunitariamente, alla Pace gli auguri per la Santa Pasqua 2024.

La pace è l’urgenza del Risorto. La pace è la nostra priorità, oggi che la fraternità stessa è messa in discussione, come ha ricordato il card. Matteo Zuppi al Consiglio permanente della CEI lo scorso 18 marzo. Non possiamo accettare che solo la guerra sia la soluzione dei conflitti.
Ripudiarla significa arrestarne la progressione. A cominciare dall’aumento sconsiderato della produzione di armi, a discapito di vere politiche di sviluppo. Osare la pace significa scegliere politiche di disarmo, nucleare e no. Osare la pace significa difendere la Legge 185/90 che oggi rischia di essere svuotata.

Come Papa Francesco siamo consapevoli che “per accogliere Dio e la sua pace non si può stare fermi, non si può stare comodi aspettando che le cose migliorino. Bisogna alzarsi, cogliere le occasioni di grazia, andare, rischiare. Bisogna rischiare”.
Occorre ribadire ancora una volta l’immoralità di fabbricare e detenere armi nucleari e perciò imploriamo l’adesione dell’Italia al Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari.

La via della pace passa per il dialogo politico e sociale, non per le armi. Costruiamo Pace, scegliamo politiche di disarmo. Italia, ripensaci!

Auguri di Pace!

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Il multilateralismo: una bussola per l’era globale

Sab, 23/03/2024 - 07:00

«Dire che non bisogna aspettarsi nulla sarebbe autolesionistico, perché significherebbe esporre tutta l’umanità, specialmente i più poveri, ai peggiori impatti del cambiamento climatico. Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta» (LD, 53-54).

Un’efficace lezione di coraggio profetico e saggezza politica

Rileggere Laudate Deum dopo Dubai offre un’efficace lezione di coraggio profetico e saggezza politica. Quando papa Francesco l’ha pubblicata, settanta giorni prima della conclusione della Conferenza Onu sul clima (Cop28), pochi nutrivano la speranza che qualcosa di buono venisse dalla “Cop dei petrolieri”. Non solo, il vertice si sarebbe svolto negli Emirati, una dei primi dieci produttori mondiali di greggio. La sua presidenza era stata affidata ad Ahmed Al Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera nazionale Adnoc. Le premesse, dunque, non potevano essere peggiori. Eppure la svolta – quanto meno il primo passo in tale direzione – c’è stata. Il vertice si è concluso con l’approvazione di un documento che chiede alle parti di «avviare la transizione verso l’allontanamento dei combustibili fossili nei propri sistemi energetici in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando le azioni in questo decennio»1.
Un giro di parole un po’ arzigogolato per dribblare il termine “eliminazione graduale” o “phase out”, in inglese, su cui si era incagliato il negoziato a causa dell’opposizione delle petro-potenze. Il mandato politico, comunque, è chiaro. Oltretutto è stato conferito nel primo “bilancio globale” in cui, come disposto dall’Accordo di Parigi, i paesi firmatari hanno fatto il punto delle politiche climatiche finora adottate e tracciato la strada per il prossimo futuro.
Un percorso che conduce alla fine dell’era fossile. Il testo, oltretutto, fissa un orizzonte temporale stringente per l’avvio della transizione: questa decade. E sigla l’impegno a triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. Il summit si è aperto, infine, con l’entrata in funzione del fondo per compensare i paesi poveri delle perdite ambientali, approvato alla Cop27 di Sharm el-Sheikh dopo una durissima battaglia. A Dubai la decisione è diventata operativa con le prime donazioni. Poche in realtà. Si parla di circa 700 milioni di dollari, di cui 108 versati dall’Italia, la più generosa insieme alla Germania. Briciole, comunque, rispetto alle reali necessità. L’anno scorso gli impatti del clima sono costati ai paesi vulnerabili 109 miliardi di dollari.

L’evidente sproporzione tra necessità reali e soluzioni

L’evidente sproporzione tra necessità reali e soluzioni aiuta a comprendere le differenti posizioni sui risultati del summit. Per il presidente Al Jaber l’accordo è stato «storico». Il presidente Usa Joe Biden ha parlato di «pietra miliare». Per la delegata di Samoa, Anne Rasmussen, si è trattato di «una litania di scappatoie». A preoccupare i paesi insulari è, in particolare, l’assenza di approfondimenti sulla mitigazione degli effetti causati dal cambiamento climatico e l’idea che la transizione verso un sistema basato sulla produzione di energia pulita abbia prevalso sulla rottamazione totale e definitiva dei combustibili fossili (anche nell’industria). A loro dire, ancora, è ambiguo il riferimento all’uso dei “carburanti transitori”, che spesso si riferiscono al gas, e alle tecnologie, come quelle adottate per cattura e stoccaggio del carbonio, che in assenza di linee guida ben precise “potrebbero minare gli sforzi” finora compiuti per contenere l’emergenza climatica.

Il primo passo per l’abbandono delle fonti fossili

Harjeet Singh, ambientalista indiano tra i più accreditati, esponente del Climate action network e consulente delle Nazioni Unite, lo considera una “bussola”, il cui nord è l’uscita dai combustibili fossili. «Finalmente abbiamo uno strumento che indica ai Paesi la giusta direzione. Troppo a lungo abbiamo eluso la questione idrocarburi. E per questo non abbiamo risolto la crisi climatica [spiega]. La strada è aperta. Si tratta di percorrerla»2 . Non sarà facile. Il primo passo per l’abbandono delle fonti fossili sarebbe lo stop dei nuovi progetti e lo spostamento dei capitali su impianti per la produzione di energie rinnovabili. Purtroppo avviene il contrario, proprio a partire da chi, a parole, è maggiormente impegnato nella lotta contro i gas serra.

Il riscaldamento colpisce tutti. Non con la stessa intensità

Il rapporto di settembre del centro di monitoraggio Oil change svela il paradosso. Venti Stati hanno piani di espansione dell’industria fossile che, in meno di trent’anni, dovrebbero causare oltre 1200 gigatonnellate di CO2. Il 51 per cento è nelle mani di cinque potenti economie del Nord del pianeta che a Dubai hanno sostenuto con forza lo stop: Stati Uniti, Canada, Australia, Norvegia e Gran Bretagna. A fare da apripista nella riconversione energetica, invece, sono state tredici nazioni “piccole”, con l’iniziativa – lanciata a Glasgow, diventata effettiva a Sharm el-Sheikh e proseguita a Dubai – del Trattato di non proliferazione delle fonti fossili.
Alla Cop28, in particolare, l’idea è stata sottoscritta dalla Colombia, primo produttore latino-americano di carbone e fortemente dipendente dagli idrocarburi. «Questo dimostra che molti Paesi “fossili” sarebbero disposti a fare la transizione se solo fossero aiutati»3 . L’affermazione di Singh tocca un punto nevralgico: la finanza climatica, perlopiù ignorata al vertice. Con questo termine si intendono le risorse mobilitate per aiutare i paesi poveri a ridurre i gas serra e a far fronte agli impatti dell’aumento delle temperature. Il riscaldamento colpisce tutti i paesi. Non, però, con la stessa intensità. Soprattutto, i mezzi per farvi fronte sono enormemente impari. Il riscaldamento globale, poi, acuisce ulteriormente le diseguaglianze. L’urgenza di arginare le catastrofi ambientali drena i già pochi capitali interni a disposizione e impedisce di utilizzarli per sostenere l’addio agli idrocarburi.
Uragani, inondazioni, siccità e altri fenomeni meteorologici estremi costringono gli Stati più vulnerabili a indebitarsi, fagocitando ulteriormente i fondi per la decarbonizzazione. Le mappe degli Stati più colpiti da fenomeni meteorologici estremi e di quelli con maggiori passivi sono perlopiù sovrapponibili. Per questo, senza una riforma della finanza mondiale e un impegno economico reale delle nazioni più ricche, non è possibile arginare l’emergenza ambientale. L’Alleanza dei piccoli Stati insulari sostiene che oltre la metà del debito pubblico delle venti nazioni più sensibili al riscaldamento è stato contratto per far fronte ai danni causati dal clima.

Non si risolve la crisi climatica senza risolvere il problema del debito nel Sud del mondo

Secondo un’indagine del Fondo monetario internazionale sugli undici disastri naturali più gravi avvenuti tra il 1992 e il 2016, il passivo delle nazioni interessate è lievitato di sette punti percentuali nei tre anni successivi. Risultati confermati da uno studio della Jubilee debt campaign. Dei 132 paesi del Sud globale maggiormente indebitati, buona parte è situato nella fascia tropicale, particolarmente esposta agli effetti del clima. «Di fronte a una catastrofe, le economie povere sono costrette a chiedere dei prestiti per farvi fronte.
Questo aumenta il livello del passivo e riduce gli investimenti nazionali per prevenire i disastri e decarbonizzare. Si crea così un circolo vizioso. Per questo non è possibile arginare la crisi climatica senza risolvere il problema del debito nel Sud del mondo dove tre miliardi di persone vivono in nazioni che spendono più per ripagare gli interessi di quanto investono nell’istruzione», sottolinea Richard Kozul-Wright della Conferenza Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad).
La chiave per uscire dal labirinto è appunto la finanza climatica. Già l’Accordo di Parigi impegnava il Nord del pianeta a spendersi e spendere per contribuire all’allineamento del Sud geopolitico agli obiettivi concordati. Da allora, però, poco è stato fatto. E Dubai non ha invertito la rotta. Nel documento conclusivo viene reiterata «la necessità di risorse pubbliche e basate su erogazioni» in favore dei paesi poveri. Non prestiti, dunque, come di fatto accade nella maggior parte dei casi, anche se è impossibile avere dati esatti vista l’assenza di criteri uniformi. Un altro testo chiave approvato a Dubai, il cosiddetto “Quadro per il nuovo obiettivo globale sull’adattamento”, riconosce l’incremento del divario tra le condizioni reali e i fondi erogati, con un impegno ad incrementare in modo significativo. E si sancisce l’importanza di realizzare una «giusta transizione».

Ancora una volta papa Francesco ha colto nel segno

Non si va, però, molto oltre le dichiarazioni di principio. I leader hanno scelto di scaricare la patata bollente sul prossimo summit, in programma dall’11 al 22 novembre 2024 a Baku, in Azerbaijan. Se la “battaglia del petrolio” è stato il pilastro della conferenza di Dubai, al centro della discussione – o dello scontro – della Cop29 sarà la somma di aiuti da stanziare dopo il 2025, il sostituto, cioè, dei famosi 100 miliardi di dollari l’anno, peraltro forse mai raggiunti. I paesi poveri chiedono che la cifra sia moltiplicata almeno per cento. La sfida, dunque, è ardua. In questo contesto, allora, forse il maggior risultato della Cop29 non è quanto è stato scritto, bensì l’aver rilanciato il processo multilaterale dopo che due anni di tensioni internazionali avevano ridotto al minimo le aspettative.
Ancora una volta papa Francesco ha colto nel segno. Nel messaggio al vertice, a cui è mancato all’ultimo per ragioni di salute, letto dal cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, ha chiesto: «Signore e Signori, mi permetto di rivolgermi a voi, in nome della casa comune che abitiamo, come a fratelli e sorelle, per porci l’interrogativo: qual è la via d’uscita? Quella che state percorrendo in questi giorni: la via dell’insieme, il multilateralismo»4 . Una parola, quest’ultima, ritenuta da tanti obsoleta che, proprio a Dubai, ha dimostrato di essere ancora l’unica bussola per gestire l’era globale. Il multilateralismo è difficile, deludente, drammaticamente imperfetto. Come gli accordi della Cop28. L’alternativa, però, ce l’abbiamo sotto gli occhi, da Gaza a Kiev.

Note

1 Il testo del documento finale Global Stocktake è disponibile su https://bit.ly/49wNpvF.
2 Mia intervista pubblicata su «Avvenire» del 15 dicembre 2023.
3 Ibidem.
4 Il testo integrale è disponibile su https://bit.ly/42UudFK.

Articolo pubblicato su Dialoghi (n.1-2024), il trimestrale culturale dell’Ac

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Cei: pace e fraternità, innanzitutto

Gio, 21/03/2024 - 10:10

La “questione” pace (da invocare, da costruire, da promuovere) è il tema che più di ogni altro (Europa, sinodo e rilevanza della Chiesa, giovani e anziani) ha caratterizzato i lavori, appena conclusi, della sessione primaverile del Consiglio episcopale permanente dei vescovi italiani, sotto la guida del cardinale presidente Matteo Zuppi, affiancato dal segretario generale, il vescovo Giuseppe Baturi. Per i presuli, di fronte a una cultura che sembra essere assuefatta alla guerra, a un aumento incontrollato delle armi e a un sistema economico che beneficia della corsa agli armamenti, occorre riprendere il dialogo tra Chiesa e mondo attraverso cammini educativi che offrano alternative alle logiche ora dominanti.

Per capire non serve aspettare l’irreparabile

«Dobbiamo aspettare l’irreparabile per capire e scegliere?». È la domanda cruciale e inquieta che pongono i vescovi italiani, constatando anche «le conseguenze di “non scelte”, di rimandi colpevoli, di occasioni perdute. «È la fraternità stessa a essere messa in dubbio – sottolinea Zuppi nella sua Prolusione -; la possibilità di convivere senza dover competere o addirittura eliminare l’altro per poter vivere».

Di fronte a un tempo di conflitti, di divisioni, di sentimenti nazionalisti, di odi, di contrapposizioni, il servizio della Chiesa per l’unità brilla come una luce di speranza, osserva il presidente della Cei. L’esortazione è a impegnarsi ciascuno, a livello personale e di comunità, per «essere artigiani di pace, tessitori di unione in ogni contesto, pacifici nelle parole e nei comportamenti ammoniti anche a dire pazzo al prossimo, per imparare ad amare il nemico e renderlo di nuovo quello che è: fratello». E aggiunge: che la violazione dei diritti elementari delle persone non si perda «nell’indifferenza o nell’abitudine»

Papa Francesco, tutt’altro che ingenuo

Mentre «viviamo un lunghissimo Venerdì Santo», basti pensare a quel che accade in Ucraina e a Gaza, i vescovi annunciano che la durante prossima Assemblea generale sarà vissuta una giornata di preghiera, digiuno e solidarietà, e auspicano che, per esempio, si organizzi una diffusa accoglienza per le vacanze estive ai bambini orfani o vittime di quella catastrofe che è la guerra. Poi rimarcano che «le parole del Santo Padre sulla pace sono tutt’altro che ingenuità. È sofferta e drammatica condivisione di un dolore che non potremo mai misurare». In Francesco, l’empatia e la pietà «prevalgono su tutto, su ogni valutazione pur indispensabile relativa ad aggressori e aggrediti, a ragioni e torti. La vita viene prima di tutto. La Chiesa è madre e vive la guerra come una madre per la quale il valore della vita è superiore a ragionamenti o schieramenti lontani da questo».

In Europa trionfi il senso di responsabilità sovranazionale

I vescovi italiani guardano naturalmente anche al voto europeo (dal 6 al 9 giugno prossimo). Invitano a condividere l’appello dei vescovi europei augurandosi che i deputati si scelgano responsabilmente e che si faccia trionfare il diritto e il senso di responsabilità sovranazionale. In particolare, scrive il cardinale Zuppi: «La storia esige di trovare un quadro nuovo, un paradigma differente, coinvolgendo la comunità internazionale per trovare insieme alle parti in causa una pace giusta e sicura. Proprio su questo versante gli Stati e i popoli europei, le stesse istituzioni dell’Unione europea, devono riscoprire la loro vocazione originaria, improntando le relazioni internazionali alla cooperazione attraverso – qui cita Schuman nella Dichiarazione del 9 maggio 1950 – realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».

Cammino sinodale, tra resistenze e voglia di coinvolgimento

A partire dalla vicenda biblica di Giuseppe e i suoi fratelli – non priva di ingenuità e astuzie, sogni e delusioni, innocenza e violenza – il presidente della Cei esorta, in particolare nel testo della sua prolusione – a uscire da un diffuso individualismo. «C’è bisogno del noi, della comunità, di luoghi di relazione vera tra le persone, di quell’alleanza che diventa amicizia», rimarca. Poi la prolusione pone l’accento sul cammino sinodale alla luce della lettura dei materiali ricevuti dalle diocesi italiane che, osserva Zuppi, ha rilevato entusiasmo, energia, pazienza, disponibilità, ascolto, ma anche le difficoltà, le disillusioni, la tentazione di accontentarsi di definire, le paure, l’indifferenza, le resistenze ad avviare tale processo. «Se da un lato – spiega – si percepisce una crisi della partecipazione alla vita della comunità, dall’altro si desidera un luogo familiare dove potersi coinvolgere. Nella prima fase del Cammino abbiamo imparato che, quando si mettono in ascolto, i cristiani diventano ospitali».

La sinodalità è fraternità

Nelle parole dei vescovi, dalla Prolusione sino al Comunicato stampa finale – c’è l’anelito a una Chiesa che si apre al dialogo anziché una Chiesa che si chiude sentendosi assediata. «Si percepisce una debolezza che sembra investire questioni come il posto dei poveri all’interno della Chiesa e la valorizzazione del loro apporto, il dialogo con la cultura, i rapporti ecumenici e interreligiosi, l’interlocuzione con i mondi dell’economia, delle professioni, della politica, ma anche l’apporto della vita consacrata», riferiscono. E poi precisano cosa dovrebbe essere sinodalità: deve significare modi e forme concrete di vita comune, semplici, vere, esigenti e umanissime, personali e comunitarie, perché la Chiesa sia comunità, servizio, relazione, amore per la Parola e per i poveri, luogo di pace e di incontro. «La sinodalità – infatti – deve essere accompagnata dalla freschezza della fraternità, vissuta più che interpretata, offerta più che teorizzata, nella vita e non in laboratorio, capace di rivisitare e animare i nostri ambienti. Fraternità non virtuale, simbolica ma reale».

Nella Chiesa si ricomponga un clima di fiducia

Relativamente alla questione che da più parti sembrerebbe emergere su una diminuita rilevanza e consistenza della Chiesa, in particolare il cardinale presidente Zuppi ammette che «il dibattito non ci fa paura». L’importante è che venga fatto nel dialogo, tra tanti cristiani, in maniera popolare come è avvenuto «e non nelle polemiche digitali, sterili, polarizzate, di convenienza». Invita a non guardare nostalgicamente indietro a una presunta età dell’oro: quella prima del Concilio per taluni, dopo il Vaticano II per altri. «Bisogna ricomporre un clima di fiducia e di speranza nella nostra Chiesa, liberarsi da amarezze e renderle impegno, progetto, esperienza”, esorta in conclusione, non dimenticando che è necessario farlo “in comunione piena con il primato di Pietro, da difendere e amare sempre».

Anziani e giovani sono una emergenza

Nel corso dell’intera sessione di lavori del Consiglio permanente, diverse sono state le occasioni in cui i presuli hanno espresso preoccupazione per la tenuta del sistema del Paese, in particolare di quelle aree che ormai da tempo fanno i conti con la crisi economica e sociale, con spopolamento e carenza di servizi. I vescovi italiani, garantiscono massima e costante vigilanza su questo ambito. «Non venga meno un quadro istituzionale che possa favorire uno sviluppo unitario – è l’appello – secondo i principi di solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale». La vicinanza alla condizione di anziani, definita una vera “emergenza”, e giovani è totale. Proprio ai giovani sono state dedicate importanti riflessioni, sulla base dei dati della ricerca condotta sull’universo giovanile dall’Istituto Toniolo. Per la terza età, «è necessario continuare a lavorare – società civile, enti ecclesiali e Istituzioni – per concretizzare la riforma delineata con la Legge Delega del marzo 2023 e a non tradire le attese di persone, famiglie e operatori».

Condivisa la bozza del programma della 50ª Settimana sociale

Durante il Consiglio permanente della Cei, come riferito dal comunicato finale dei lavori «è stata condivisa la bozza del programma della 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia», che si svolgerà a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024 sul tema: “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”.
«Mentre è già in atto un processo di partecipazione che vede coinvolte le Chiese in Italia e le realtà ecclesiali che danno il loro apporto all’edificazione del “noi comunitario”, sono in fase di definizione i dettagli dell’organizzazione – spiega il comunicato finale -. Come annunciato a gennaio dal segretario generale della Cei, mons. Giuseppe Baturi, è previsto l’intervento di Papa Francesco domenica 7 luglio, a conclusione dell’evento. «I partecipanti non saranno più solo delegati diocesani, né solo rappresentanti di associazioni e movimenti, ma cattolici attivi nella vita sociale del Paese». L’obiettivo è «quello di riflettere sul tema della democrazia per recuperarne il senso e rileggerla alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, approfondendo i fondamenti antropologici, le trasformazioni che la partecipazione sta vivendo, le idee e le procedure che possono rigenerarla, a partire da una presenza nella società civile più efficace». Per questo, prosegue il comunicato finale, «ampio spazio sarà riservato ai tavoli di discernimento e di confronto, con una metodologia grazie alla quale possano emergere delle proposte condivise».

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Roma città libera

Mer, 20/03/2024 - 07:00

Giovedì 21 marzo ricorre la XXIX edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, promossa da Avviso Pubblico e Libera, cui l’Azione cattolica italiana aderisce e partecipa sin dalla nascita.

Il Presidente nazionale dell’Ac, Giuseppe Notarstefano sarà presente alla manifesta nazionale che si svolgerà a Roma. Replicando la “formula” adottata negli ultimi anni a causa dell’emergenza, Roma sarà la “piazza” principale, ma simultaneamente, in altri luoghi in Italia, Europa, Africa e America Latina, la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie verrà vissuta attraverso la lettura dei nomi delle vittime, saranno ascoltate le testimonianze dei familiari e approfondite le questioni relative alle mafie e alla corruzione, nel segno di una memoria che non vuole essere celebrazioni ma strumento di verità e giustizia. L’obiettivo è un coinvolgimento ampio di tutto il territorio nazionale con collegamenti internazionali: per le istituzioni e per la società civile sarà occasione per lanciare un segnale concreto di impegno comune contro le mafie e la corruzione.

Lo slogan: Roma città libera

“Roma città libera” è uno slogan che evoca il capolavoro del neorealismo “Roma città aperta” di Roberto Rossellini: un’opera d’arte che parla di resistenza e della lotta per la libertà. A ottant’anni dall’occupazione nazi-fascista, oggi Roma deve nuovamente aprirsi e liberarsi. Questo 21 marzo sarà occasione per affrontare le problematiche che oggi rendono la città di Roma e tutta la sua area metropolitana un feudo per la criminalità organizzata di diverso tipo e immersa com’è in una corruzione sistemica. Lo faremo insieme alle migliaia di cittadini e cittadine e alle centinaia di realtà sociali che quotidianamente si battono per vivere in un luogo in cui la cultura del diritto prevalga sulla cultura del privilegio e della sopraffazione.

Perché a Roma: un’incidenza criminale crescente

Lo scenario attuale della Capitale è di per sé molto complesso. Così come nel resto del Lazio, soprattutto per quanto riguarda l’intero litorale laziale. Esiste infatti una tassonomia criminale peculiare che racchiude al suo interno una pluralità di paradigmi molto diversi tra loro. L’incidenza delle organizzazioni mafiose tradizionali è molto forte ed in continua evoluzione. Oltre alla loro presenza, a Roma e nel Lazio, vi è anche quella delle cosiddette mafie autoctone, che sono di origine esclusivamente locale. Queste ultime non devono essere considerate inferiori di importanza rispetto alle mafie tradizionali, in quanto esiste un vero e proprio rapporto paritario, negli affari e nei traffici illeciti.

Commistione tra economia legale e illegale

Sono inoltre presenti organizzazioni criminali non mafiose che adottano comportamenti mafiosi soprattutto nelle risoluzioni delle controversie e nel controllo militare del territorio e sono dedite al narcotraffico. Non meno rilevante infine è la presenza di mafie straniere tra cui quella nigeriana e cinese che si aggiungono alle organizzazioni albanesi di cui si evidenzia negli ultimi anni un notevole salto di qualità nello scenario criminale romano. Il punto in comune che hanno tutte le organizzazioni appena descritte è la loro compresenza nell’economia legale e illegale della Capitale, grazie ad un passaggio da un modello di permeazione parassitario ad uno simbiotico. Il loro modus operandi, unito all’assenza di un’organizzazione criminale dominante, è il fattore chiave che permette a queste associazioni di crescere e potenziarsi, perseguendo il loro obiettivo di inserirsi nel tessuto sociale ed economico della Capitale.

Il programma: corteo, memoria e seminari tematici

Per la manifestazione di Roma (Il programma della Giornata), la Capitale è pronta ad accogliere in un grande abbraccio oltre 700 familiari di vittime innocenti provenienti da tutta Italia, sotto l’alto patronato del presidente della Repubblica e il sostegno del Comune di Roma. La Giornata promossa da Libera dal 2017 è stata infatti riconosciuta dallo Stato e vedrà una grande partecipazione di giovani, associazioni, gruppi, rappresentanti delle istituzioni, del sindacato, del mondo della scuola, della cultura, dello sport.

Giovedì 21 marzo un corteo partirà alle 9 da piazzale Esquilino per arrivare al Circo Massino dove verranno letti i nomi delle 1.081 vittime innocenti delle mafie.
Alla lettura dei nomi, partecipa il presidente nazionale Ac, Giuseppe Notarstefano.

Oggi, mercoledì 20 marzo i familiari provenienti dalla Calabria, Sicilia, Puglia, Campania e dal Nord Italia si ritroveranno alle 15 presso la basilica Santa Maria in Trastevere per l’assemblea nazionale alla presenza di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, e del card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana. A seguire, alle 18, veglia ecumenica nella basilica durante la quale saranno letti i nomi delle vittime delle mafie.
Anche quest’anno nell’ambito della Giornata della Memoria e dell’Impegno Libera promuove una rosa di seminari di approfondimentoche nel pomeriggio del 21 consentiranno ai partecipanti di condividere un’occasione formativa.

Trasformare il proprio dolore in impegno

Un appuntamento importante, un’occasione di partecipazione per tanti familiari di vittime innocenti che hanno effettuato una scelta significativa: trasformare il proprio dolore in impegno, attraverso l’elaborazione del lutto e la condivisione dei propri ricordi, testimoniando in numerosi incontri la storia del proprio caro ucciso dalla violenza mafiosa e la loro stessa storia.

«Oggi – ricorda Libera – più dell’80 per cento dei familiari delle vittime innocenti di mafia non conosce la verità e non può avere giustizia. Dal 1861 a oggi sono 1.081 i nomi dell’elenco delle vittime innocenti delle mafie. 1.081 storie che ripercorrono tutta la storia d’Italia, dall’Unità fino all’anno scorso.
In totale, le donne vittime della violenza mafiosa sono 134. Alcune sono donne colpite da proiettili vaganti, altre sono vittime di vendette trasversali, uccise per legami parentali con uomini di mafia, ma del tutto estranee agli affari del clan. Altre, ancora, sono donne uccise per essersi opposte al potere economico, politico, sociale e “culturale” delle mafie. Amministratrici pubbliche, magistrate, poliziotte, ma anche donne provenienti da contesti mafiosi che si sono ribellate alla “cultura mafiosa”, finalizzata a costruire dei legami basati esclusivamente su rapporti di forza, violenza e sopraffazione. Sono, invece, 115 i nomi di bambini uccisi dalle mafie. La più piccola è Caterina Nencioni, 50 giorni, uccisa dalle bombe di via dei Georgofili, insieme a tutta la sua famiglia e al giovane Dario Capolicchio”.

Il documento completo della XXIX edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

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#ioperlei. Dona il tuo tempo per le mamme rare

Mar, 19/03/2024 - 07:00

Pronti a scendere in campo con l’Ac e la Fondazione Telethon? Diventa anche tu un volontario per sostenere la ricerca sulle malattie genetiche rare e donare speranza a tante famiglie.
Torna la Campagna di Primavera #ioperlei di Fondazione Telethon. Dedicata questanno alle mamme rare; protagonisti della Campagna sono Mamma Eleonora e Maria Vittoria (per tutti Mavi), una bellissima bambina di nove anni, a cui è stata diagnosticata, nei primi mesi di vita l’Atrofia muscolare spinale di tipo 2.
Con #ioperlei, mamma Eleonora e Mavi hanno scelto di mettersi in gioco perché sanno bene cosa comporta questa patologia, ma sanno anche bene che non bisogna mai smettere di investire in Ricerca, perché grazie alla Ricerca mamma Eleonora può guardare al futuro di Mavi con coraggio e speranza.

#ioperlei: nelle piazze di tutta Italia il 4 e 5 maggio

Anche quest’anno i volontari di Ac saranno con Fondazione Telethon presenti nelle piazze d’Italia il 4 e 5 maggio; in queste due giornate particolari facciamo sentire ancora più forte la nostra voce chiedendo a tutti di fare e facendo a nostra volta una scelta d’amore a sostegno delle mamme rare attraverso i Cuori di biscotto di Grondona, nelle tre varianti di gusto cacao con gocce di cioccolato, pasta frolla e l’edizione special Arancia di Sicilia con gocce di cioccolato. Il valore di donazione è 15 euro.

Inoltre è possibile organizzare i banchetti anche in altre date per essere flessibili, andare incontro alle esigenze dei volontari e cogliere tutte le opportunità che si dovessero presentare.
Come sempre è possibile distribuire le scatole di Cuori di biscotto tra amici, colleghi e parenti.

La lettera di Eleonora, Mamma di Mavi

Cari volontari di Azione Cattolica,
mi chiamo Eleonora, e sono la mamma orgogliosa di Maria Vittoria, una piccola forza della natura! Mavi è curiosissima e vivace, e da grande vorrebbe diventare una giornalista di successo, o una scrittrice proprio come il suo idolo J.K.Rowling, l’autrice di Harry Potter.
Nonostante la giovane età, la mia stellina è incredibilmente sveglia e consapevole dei propri limiti. Ha la capacità di fare domande profonde, che spesso spiazzano me e suo papà!
Una delle domande più difficili che ci ha posto è su quando verrà trovata una cura per tutti i bambini con malattie genetiche rare… è una risposta che io, come sua mamma, vorrei tanto darle, ma ancora non posso. Tuttavia, ho grande fiducia che tutti i volontari di Azione Cattolica possano unire le forze per aiutare la ricerca di Fondazione Telethon a fornire la risposta preziosa e tanto attesa!
Il 4 e 5 maggio, con #ioperlei, avrete di nuovo l’opportunità di diffondere la speranza attraverso un gesto semplicissimo, come quello di distribuire i Cuori di biscotto in parrocchia e privatamente tra amici, parenti e colleghi. Un modo davvero unico e speciale per festeggiare il decimo anno della Campagna di Primavera di Fondazione Telethon! Con il vostro impegno, potremo fornire risposte tangibili, non solo a Mavi, ma a tutti i bambini che sognano un futuro senza limiti. Grazie di cuore per il vostro supporto
Con gratitudine,
Eleonora
Mamma di Mavi

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